Cose turche

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di Davide Peschechera

Si sentiva lontano un miglio la puzza dell’Inferno turco. Ce l’hanno fatta sentire appena dopo i sorteggi, quando si è scoperto che l’ultima partita del girone l’avremmo giocata a dicembre in una bella trasferta nell’est dell’Europa. Ieri sera, però, si è sentita proprio la puzza di bruciato. Trasferta tormentata e disgraziata.

Cominciamo dal Concilio sull’orario, evitabile. Il braccio di ferro tra polizia turca e Uefa, con quest’ultima che prima divulga un comunicato ufficiale (ore 14 italiane), poi lo mette in discussione subito dopo (ore 13 italiane). Poi, per la seconda volta, ritorna sui suoi passi per permettere l’organizzazione del servizio d’ordine (si ritorna alle ore 14 italiane). Intanto l’ Odissea della Juve senza albergo e nel traffico della città sino alle prime ore della notte. Poi la Uefa torna ancora sui suoi passi, per la terza volta, contro il parere della polizia locale che è contraria: ore 13 italiane. Decisione imposta dall’organismo europeo contro il volere delle istituzioni di sicurezza turche. La riunione prevista nella mattinata del giorno dopo, poche ore prima della partita, per la scelta finale. E il ritorno alle 14 ora italiana perché, obiettivamente, i giocatori non sarebbero potuti andare a dormire senza sapere l’orario ufficiale del match.

Il pensiero che attraversa la mente di tutti è lo stesso: la partita è stata falsata da un campo orrendo, ma la Juve ha buttato la qualificazione agli ottavi molto prima del gol di Sneijder. Siamo noi ad esserci messi in questa condizione ed il destino ci ha puniti con una delle situazioni più assurde che potessero accadere. Falsata o no deve essere un punto di partenza. Ci siamo “giocati”(in senso negativo, ovvio, perché stando prettamente al significato della parola, non abbiamo avuto modo di poterlo fare) la qualificazione all’ultima occasione disponibile. Il problema è come si è affrontato l’intero girone, non questa partita, che è stata una situazione a sé, imbarazzante quanto imprevedibile, vergognosa quanto ingestibile. Ma un dato: nelle 6 partite giocate dei gironi di Champions, abbiamo sempre preso gol. Anche ieri. Anche a Copenaghen, Anche in casa con i danesi. E con i turchi. Insomma, in quelle partite che avremmo dovuto vincere. Se non tutte, quasi. Tra Copenaghen, Torino, Istanbul e Madrid, 6 punti in questo girone sono pochi e valgono l’eliminazione. Assumiamoci le nostre responsabilità, ma andiamo subito via da questo posto. È stata una pagliacciata. Il Galatasaray si è adattato: lancio lungo e spizzata. “Una partita a tamburello e a tamburello non sappiamo tanto giocare”, ha detto Conte a fine partita. La Juve ha cercato di giocare la palla. E quando non può farlo diventa molto meno efficace e una cosa che proprio non si poteva fare nel pomeriggio di Istanbul era cercare il passaggio e la manovra. In condizioni climatiche accettabili avremmo vinto noi, probabilmente. Una partita decisa da un episodio con un campo inagibile. Fango e ghiaccio, un miscuglio di insidie in cui si sono arenati i bianconeri. Tra l’altro il terreno era diseguale. Una metà campo era stata spalata dalla neve con i trattori e se ne vedevano i solchi: è solo un caso che fosse quella in cui si sapeva che il Galatasaray avrebbe giocato in attacco soltanto per 15’ mentre alla Juve sarebbe toccato farlo per 45’? In queste condizioni la squadra più tecnica è penalizzata, ed è più semplice per i difensori della squadra avversaria fermare ed intercettare una palla che già si ferma da sola. Una partita che è diventata, col passare dei minuti, un terno al lotto, un avere più fortuna, nulla di prevedibile e applicabile tatticamente. I valori si sono equiparati, livellati. Ma non si parli di sfortuna o di congiura. La bravura e la maturità si misurano anche con la capacità di adattarsi tutte le situazioni e gli uomini Mancini l’hanno fatto meglio. Il divario di mestiere tra Drogba e Pogba è balzato agli occhi in ogni azione: l’ivoriano ha calamitato palloni per trasformarli in sponde, compreso quello che ha mandato il gol Sneijder; il giovane francese non ha capito neppure per un attimo che su quel terreno doveva usare giocate diverse dalle solite, si è impantanato nelle azioni solitarie e ha fatto impantanare il pallone a centrocampo, esponendo la Juve al pericolo soprattutto nella ripresa.  E come capita spesso il gol turco, con la difesa scoperta, è arrivato nel momento in cui la Juve sembrava aver ripreso il controllo del match.

Conte a fine primo tempo ha detto chiaramente all’arbitro “This in not football”, “Questo non è calcio”. “Quando sono arrivato ho visto il campo e l’impossibilità di giocare. Sono andato dall’arbitro che mi ha detto parla con l’altro allenatore. Allora sono tornato dall’arbitro con Mancini, c’è stata la riunione con delegato Uefa. Lui ha chiesto a Mancini cosa ne pensasse e tutti e due abbiamo detto che era “dangerous” per i giocatori, anche l’arbitro era d’accordo con noi ma l’Uefa ha detto che si poteva giocare.” The show must go on, a tutti i costi, evidentemente, in Europa. I sorteggi non aspettano nessuno. “Non capisco come oggi il campo non poteva essere “dangerous” per i calciatori se lo era stato ieri.”. Ieri le condizioni del campo non garantivano l’incolumità dei giocatori, ma oggi si è giocato in situazioni decisamente peggiori. E poi Drogba, dello stesso parere di Conte, ma con una sfumatura, sostenendo che “è così per tutte e due le squadre” e Conte che gli ha risposto: “Ma su un campo normale non so se sarebbe finita così”. Eh già. Una squadra che aveva tutto da perdere, l’altra tutto da guadagnare, non facciamo gli ipocriti, diciamo almeno le cose come stanno. “Noi siamo stati penalizzati enormemente. Forse dove abbiamo sbagliato, e lo dico per esperienza, è ridurci all’ultima partita e giocarcela qui, ci siamo complicati noi la vita in Champions”. Per chi pensa che Conte e tifosi stiano piangendo, questa frase dimostra che non è così, anzi. S’impara e si guarda avanti, recriminando il giusto.

Chi pensa che esser fuori dalla Champions sia un vantaggio per campionato, si sbaglia. Potremmo pagarla, in autostima e convinzione, anche se Conte tenterà di motivare ancora i suoi dopo questa delusione come è da sempre abituato a fare. Cerca motivazione ovunque. Dispiace solo essersela giocata in queste condizioni e in questa situazione, difficilmente amministrabile, conducibile, coordinabile da noi. Abbiamo perso stupidamente punti per strada e ci è scivolato il destino dalle mani, senza più possibilità di cambiarlo. Servirà da allenamento, in EL è pieno di campi così. Il risultato in sé per sé è indiscutibile, può capitare. È stata una partita secca che ha visto emergere le strategie turche. Gli sbagli sono stati fatti prima di questa partita. Noi ci abbiamo messo del nostro in precedenza.

E poi i tifosi, tornati in Italia con un mucchio di ghiaccio tra le mani, senza vedere la partita, tanti soldi spesi, una retrocessione in EL e la beffa di Juve-Sassuolo spostata alle 18:30 della domenica, diretta conseguenza dell’inferno di Istanbul. . Alla fine, dei 2600 presenti, ne sono rimasti 700 che alle 14 (le 15 ora locale) sono tornati ad occupare il ghiacciato settore ospiti. La sconfitta fa male e ci riporta alla mente altri capitoli tristi della storia bianconera, lo Scudetto perso sotto la pioggia di Perugia, l’eliminazione in mezzo al ghiaccio di Poznan e ora l’addio alla Champions nel pantano ghiaccio e fango di Istanbul: maledizione Juventus. La sensazione di aver dato il massimo, come sempre, ma non è bastato a causa di errori evitabilissimi commessi durante il percorso. La sensazione d’incompiuto dopo l’uscita ai quarti, lo scorso anno, al cospetto del Bayer. La sicurezza e la serenità con cui uscimmo e con cui promettemmo d’affrontare questa Champions, non commettendo più gli stessi errori ma che oggi abbiamo già perso. Quell’amaro in bocca che ci accompagnerà per tutto il resto della stagione a meno che, forse, non si disputi la finale di EL allo Juventus Stadium con un cammino trionfante. Sta diventando un destino, forse diventerà un proverbio: “Incerto come un Galatasaray-Juve a Istanbul”.  Il 25 novembre 1998 la gara in programma a Istanbul viene rinviata per il “caso Ocalan”, il terrorista turco ospitato in Italia. La gara fu recuperata sette giorni dopo, sempre in Turchia, e si chiuse sull’1-1. Cinque anni dopo, nel 2003, sempre il 25 novembre, la gara che si doveva disputare ancora ad Istanbul, venne pure rinviata, stavolta per motivi di sicurezza in seguito agli attentati che nei giorni precedenti avevano sconvolto la capitale turca con morti e feriti. Anche in questo caso il recupero fu sette giorni dopo, ma la partita venne spostata a Dortmund, in Germania, per motivi di sicurezza e la gara venne vinta dai turchi per 2-0. La Champions, una coppa che manca dal 1996.

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