Una “grigliata” da Luciano Moggi

Domenica di SuperCoppa, la prima vera Juve surclassa la Lazio per 4  goal a zero.

Ma la gioia sportiva per una serata che aspettavo dalla vittoria del 31° campionato è l’ultimo dei miei pensieri:  ho ricevuto un sms  che mi ha lasciato basito ad osservare lo schermo del cellulare, come un allocco, per lunghi minuti.

L’sms a mittente Riccardo Gambelli, grande amico e grande poeta bianconero recitava più o meno così: “Sono assieme al Presidente (Filippo Lazzeroni ndr.) da Zio Luciano, abbiamo visto la partita in compagnia. Avrebbe piacere di pranzare con te giovedì prossimo. A casa sua, a Monticiano. Ce la fai ?”.

Ripresomi dalla sorpresa ho risposto: “Ringrazia il Direttore del grande onore che mi fa, farò di tutto per vivere questo sogno, ci sarò”.

Nella mia mente da quel attimo è successo quello che sarebbe successo a chiunque Moggiano e ju29ro : già m’immaginavo in Pellegrinaggio verso l’Eremo di Luciano, novello Garibaldi (non Thohir) che incontrava a Monticiano invece che a Teano il suo Re (dei DG).

E allora via, in una lunga vigilia di preparazione in attesa di quel giovedì che pareva non arrivare mai.

Organizzo per il permesso al lavoro, preparo il necessario per il viaggio.

Nella testa, nel frattempo, si affollavano le mille e mille domande che avrei voluto fargli in tutti questi anni.

Da quelle del periodo della luccicante gloria della Triade a quelle della cupa e buia discesa negli inferi di Farsopoli.

Poi finalmente, il benedetto giovedì 22 agosto arriva e la sveglia suona.

Mi alzo di scatto e impettito come Di Livio sulla fascia inizio a prepararmi.

Colazione con la mia dolce metà, i saluti ai bimbi e poi via, si parte.

L’appuntamento è a Siena, tra le dolci colline del Chianti,  a casa Gambelli, dove arrivo e vengo accolto con una simpatia e amicizia fuori dal comune.

A breve, mi dice, ci avrebbe raggiunto pure Filippo.

Nell’attesa, do un ammirato sguardo alla collezione di Riccardo: la maglia di Gentile, quella autografata di Pirlo, una lettera olografa di Donna Allegra, il cappellino di Ayrton Senna, la foto con Scirea, Vialli, Pessotto e col Presidente Agnelli.

Scorci di Juve ovunque.

Arriva Filippo e si parte: #RoadtoMonticiano.

Da Siena a Monticiano c’è una mezzora di strada.

Poggio dopo Poggio il cuore mi batteva sempre più forte e l’emozione iniziava a farla da padrona.

Erano giorni che i due guasconi toscani mi prendevano in giro: “mica svenire davanti a Luciano”, “riuscirai a parlare o farai scena muta ?”.

Quasi quasi temevo il peggio.

S’arriva finalmente al cartello stradale che indica Monticiano. Ci siamo.

La macchina si ferma in un piazzale, in una zona tranquilla.

Verde, vigne, ulivi, pace.

Ad un lato, un piccolo viale conduce a una bella residenza, con un giardino curato e ben composto.

“Li abita Luciano”, mi dicono.

Cerco di sbirciare oltre quel muretto, come un giocatore di poker svela pian piano il punto servito; in lontananza scorgo l’inconfondibile sagoma del Direttorissimo, che allunga lo sguardo verso di noi.

Ci stava aspettando, di vedetta.

Raccolgo le borse e i pacchi che m’ero portato appresso (oro incenso e mirra ???) e ci incamminiamo.

I miei diabolici accompagnatori, vedendomi titubante, mi sussurrano beffardi: “vai avanti tu !”.

E m’incammino lungo il viottolo.

Luciano è li che sorride con l’immancabile sigaro in mano: polo a righe, bermuda verde militare e scarpe bianche.

Allarga le braccia in segno d’accoglienza ed esclama: “Era ora che arrivaste. E’ giusta l’ora di pranzo !”.

E poi, mentre mi avvicino, aggiunge: “Dunque tu sei Massimo, piacere !”

Mi stringe forte la mano e mi bacia, come si fa con gli amici più cari.

L’ansia, i timori, di un sol botto, sono svaniti.

Ci si sente in simbiosi immediata con quell’uomo. Pare di conoscerlo da sempre.

 Splendido padrone di casa, abilissimo nel metterti a tuo agio.

Lo sento parlare con quel suo inconfondibile accento e col suo timbro nasale, nell’aria c’è il profumo del suo toscano acceso, è proprio lui.

Finalmente.

“Buongiorno Direttore, la ringrazio dell’invito. Lei non sa quanto desiderassi incontrarla”.

Mi si fa incontro una signora dagli occhi vispi e dal sorriso ammaliante.

“Piacere, sono Giovanna, la moglie di Luciano. Benvenuto”.

Il  tempo di scambiare quattro parole con la Signora che a suo tempo fece perdere la testa al Direttore (e si capisce il perché) che una voce mi chiama.

“Venite a sedervi. Massimo, tu qui, vicino a me, che dobbiamo parlare”.

Luciano è a capo di una bella tavola imbandita nel porticato prospiciente il giardino, già al suo posto.

Regale, dominante, come un Re sul suo trono.

A fianco, poggiata al muro, una seggiola, con un nugolo di telefonini con strane cornette vintage come terminale audio.

Prendendo posto mi osservo intorno e scorgo incastonato sulla colonna centrale che sostiene il portico uno scudetto della Juve di ceramica, molto bello, probabilmente un manufatto.

Quel simbolo, inamovibile da quella struttura, la dice lunga sull’amore che Luciano ha per quell’idea, quel simbolo, quella squadra che è la stessa che porto nel mio cuore.

Per lui la Juve non era solo un lavoro, un incarico, ma un sogno che ha vissuto e coronato.

Mi accomodo, ricevo qualche pacca sulla spalle e qualche domanda sul mio conto.

Con noi, ci sono anche un giovane giornalista di nome Roberto Ortelli e un amico fidato di Luciano, Giuliano, che avevo avuto modo di conoscere sul web e al telefono.

Assieme e intorno a noi, la splendida famiglia di Luciano, all’opera.

Chi in cucina, chi indaffarato a portare le vivande in tavola, chi a intrattenere gli ospiti.

Famiglia affiatata, serena, felice.

Un quadretto delizioso, talmente bello da augurarsi un giorno, tra qualche annetto (pochi, che sennò il Direttore s’offende) di poter godere della stessa atmosfera, dello stesso abbraccio coinvolgente.

Devo ringraziare i commensali, perché mentre il pranzo iniziava, per mettermi a mio agio e rompere l’imbarazzo, hanno tessuto le mie lodi al Direttore, che ascoltava, annuiva e commentava.

Vedere che sapeva chi ero, quel che scrivo, che sul web lo difendo a spada tratta assieme a un nugolo di instancabili orfani della Triade, mi dava una soddisfazione enorme.

E mi sono sciolto.

Peggio per loro.

La mia lingua veloce e affamata di sapere ha iniziato a bombardare di domande Luciano.

In tavola apparivano deliziosi antipasti, un fumante risotto e…….una GRIGLIATA, segno del destino.
Ma stavolta non c’erano né Bergamo né gli spioni senza gloria, ad ascoltare nascosti tra i cespugli.

Credo di non aver mangiato quasi nulla, ero troppo impegnato a sfruttare ogni secondo di quell’irripetibile occasione, a non perdere nemmeno una parola di quel che il mio Moggi diceva, tra un boccone e l’altro.

Con tutte quelle curiosità, gli avrò fatto freddare la costata al sangue.

Ma lui, cortese e senza batter ciglio, rispondeva a tutto, senza veli, con un gergo solo più colorito, più “toscano” di quando è ospite in qualche trasmissione Tv.

Tra le sue mura, nel suo eremo, non ha bisogno di veli, di toni morbidi.

Qui si sente sicuro, coperto, protetto.

E non ha paura di nulla, nemmeno delle domande più impertinenti che la mia indole da Gianburrasca gli propone.

I temi svariano, dal calcio d’oggi, al mercato, alla Juve che fu, a calciopoli e all’appello che sta arrivando.

Gli aneddoti, alcuni irripetibili, si succedono a ritmo serrato: la volta che comprai Nedved, Florentino Perez e Zidane, il contratto firmato con Moratti e che tengo in cassaforte, le risse all’aeroporto di Fonseca e Montero, le liti con Davids (“servono muratori, geometri e ingegneri. Nedved per esempio era tutto questo, Davids, per quanto giocatore super, credeva d’esserlo), Alemao, la finale del Torino con l’Ajax, di Lippi e Capello.

Si parla dell’acquisto di Ibra, perfezionato durante il GP di Montecarlo, ai paddock, con un sudatissimo Mino Raiola, con Emerson e Maxwell.

Intervengo e gli dico: “Non era nei paddock, Direttore. Era li vicino, al ristorante “Il Capitano” sulla Promenade des Angles a Nizza, in un ristorante fronte mare” (grazie a L.G. per la soffiata).

Si ferma un attimo, Luciano, sorpreso.

Mi regala un sorrido beffardo mentre stringe il sigaro e mi chiede: “ E tu come cxxxo fai a saperlo ? E’ vero. Oh, questo ne sa più di me !” dice, riprendendo subito a estasiarci con il racconto.

E potrei continuare per parecchie righe, dando solamente l’incipit di ogni aneddoto.

Li ho raccolti tutti in un file word, per non scordar nulla di questa giornata.

Li rileggo e rido.

Sono davvero tanti, uno più bello dell’altro.

Quattro ore filate, intervallate da qualche telefonata VIP e qualche barzelletta che il Moggi-Mattatore snocciolava con impareggiabile mimica, roteando il suo immancabile sigaro.

A proposito, mi scuserete se non approfondisco oltre questa parte, che forse è la più succosa, ma è giusto che questi discorsi rimangano li, tra quelle splendide piante di quel giardino di Monticiano.

In fondo, l’aura di mistero, amplifica il già enorme mito del Maradona dei Direttori sportivi.

Senza più un segreto, non sarebbe più Moggi, per qualcuno.

Il tempo scorre, vorrei fermarlo. Troppe cose ancora avrei da chiedere, da sapere.

Ma arriva l’ora dei saluti.

Faccio autografare la mia preziosa copia di “Un calcio nel cuore”, come segnalibro ricevo in dono il suo toscano, che adagio con la massima cura tra le pagine ormai imparate a memoria.

Un paio di foto ad immortalare l’avvenimento.

Luciano si presta sorridente e con partecipazione sincera.

Si salutano i commensali, dalla superba padrona di casa Giovanna a tutti i rimanenti.

Ci avviamo verso l’uscita.

Due passi e il Direttore mi chiama indietro, mi poggia una mano sulla spalla.

Mi vuole parlare.

Pochi istanti io e lui da solo, istanti in cui mi riempie di inaspettate parole, non dovute, e per questo ancor più preziose.

Carezze verbali  che conserverò nel cuore, terminate con un “torna quando vuoi, qui sei sempre il benvenuto”.

Luciano, è davvero una grande persona.

Buono, generoso, altruista, sensibile.

Forse qualcuno di tali doti profuse a piene mani ne ha approfittato, l’estate di qualche anno fa, ferendo “quasi” mortalmente lui, i suoi affetti, la nostra Juve.

Ma come dice Luciano, il tempo è galantuomo e siamo più vicini alla resa dei conti.

Io mi fido di lui, l’ho sentito tranquillo per l’Appello di Napoli, stavolta non avrò sorprese.

Un’ultima stretta di mano, un abbraccio da amico e lascio il Direttore.

Raggiungo i miei compagni di viaggio, che mi chiedono cosa m’abbia detto.

Svelo qualche particolare, ne rimangono sorpresi:  “non è da tutti, vanne fiero”.

Ci dividiamo, Filippo va al lavoro, io e Riccardo ci dirigiamo a bordo della sua cabrio verso Siena.

Scivolando tra le vigne e i poggi, riviviamo brevemente la giornata.

Io sono su un altro pianeta.

Felice, sereno come poche altre volte, sazio di amicizia e di verità.

Riccardo in questa mezzora salda con me un vecchio debito: avanzavo la storia “senza veli” dell’inizio del suo rapporto incredibile con Luciano, storia che era davvero da gustare a quattr’occhi.

Ora so per filo e per segno cosa ha fatto per Moggi, per la nostra Juve e per valori primari come la Verità e la Giustizia.

Ora so perché tutta la famiglia di Luciano lo considera uno di loro.

Non era da tutti. Palle fumanti e capacità non comuni.

Chapeu, caro Riccardo. Stima immensa.

Si arriva a Siena, saluto l’intera famiglia Gambelli, impareggiabili in cortesia e riparto per il mio Polesine.

Mi guardo intorno, al tramonto le colline della Chiantigiana, se possibile, sono ancora più belle.

Magari potessi barattarle per le mie zanzare e la mia umidità perenne, merce DOC del Delta del Po !

Il viaggio di ritorno scorre veloce.

Gli occhi sulla strada e la mente all’Eremo di Monticiano.

Accendo il telefono, e vengo sommerso da un’innumerevole quantità di messaggi e di affetto che familiari, amici di sempre e nuovi amici del web mi regalano, tutti affamati del racconto della giornata, tutti assetati di gustosi dettagli.

Arrivo a casa, e mi rendo conto che sono un uomo davvero fortunato: scendo dall’auto e sento le voci dei bimbi che  affacciati alla finestra di casa, mi aspettavano per salutarmi assieme alla mamma.

Entrare in casa e ricevere il loro abbraccio dopo una giornata così intensa è stata la ciliegina sulla torta.

Non vedo l’ora che crescano, per potergli raccontare quel che mi è successo.

E’ ormai tardi, il latte ai piccoli, due coccole e li porto a letto.

La mia dolce metà è li che mi aspetta. Anche lei bramosa del racconto del viaggio.

Da dentro il libro, poggiato sul tavolo in cucina, il profumo del toscano che Luciano mi ha donato si diffonde, inconfondibile, nell’aria.

Mi fa sorridere l’idea, che in qualche modo, il Direttore sia anche a casa mia.

Anche per me arriva l’ora di coricarmi, domattina la sveglia suona presto.

Si torna alla realtà, la fiaba è già nel cassetto dei ricordi.

Non vedo l’ora che arrivi la prossima estate…..

Grazie infinite, Luciano.

A presto.

 

Post By tweetgino (4 Posts)

Polesano DOC, secondo Blatter ho 2 anni in meno di quanto scritto sulla carta d’identità. Amo l’ironia e la battuta come mezzo per dire le più crudeli verità. Anima libera, lingua e tastiera veloce, Moggiano, orfano della Triade. Inventore del Raiola's Project. Il mio sogno è di intervistare Luciano Moggi e Alex Del Piero

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