Le partite di fine stagione e una cultura da cambiare

Quante volte nella nostra vita ci è capitato di assistere a partite, soprattutto nel finale di campionato, che tutto sembravano fuorché un incontro di calcio vero, di quelle in cui ambedue le squadre giocano per vincere?

Occorre però fare un distinguo. Ci sono le partite, quelle definite da “meglio due feriti che un morto” (cit.), che sicuramente non onorano il campionato, ma che talvolta sono figlie della paura di una squadra e dell’altra di perdere punti preziosi nella corsa agli obiettivi stagionali e ci sono partite in cui le squadre che non hanno più nulla da chiedere o da dire al campionato giocano per onor di presenza, senza quella cattiveria tipica dei match giocati in altri momenti della stagione. Partite giocate non “alla morte”, come si suol dire.

Chi ha giocato a calcio sa che questo tipo di match sono all’ordine del giorno e che il fenomeno è ben presente anche, e soprattutto, nelle categorie inferiori, laddove interessi economici e scommesse non arrivano.

Succede infatti (e lo so per testimonianza diretta) che in campi di seconda/terza categoria le squadre che devono salvarsi o che sono ancora in corsa per obiettivi stagionali, che vanno a giocare su campi di società già ampiamente salve o non più in lotta per nulla, si presentino al campo con cabaret di paste e spumante… e non di certo per preparare un terzo tempo come il rugby…

Perché ne parlo in questo momento? Perché a mio avviso nel filone del cosiddetto “calcioscommesse” che ha scosso negli ultimi anni i campionati di A, B e Lega pro, si siano infilate anche partite di questo tipo, configurate come illecito.

E’ vero che per la giustizia sportiva basta il tentativo, ma occorrerebbe fare dei distinguo.

Ci sono partite in cui esistono accordi fra le società e per le quali, previa raccolta di prove certe e circostanziate, vanno applicate le sanzioni di cui all’art 7 comma 1 (Illecito sportivo) e altre in cui questo accordo non esiste, ma è “tacito”, nel senso che le squadre che non hanno obiettivi di classifica non giocano “alla morte” contro squadre che hanno bisogno di punti. Ma questo a mio avviso è un problema di cultura, che andrebbe prevenuto e combattuto con le giuste misure.

In Italia, purtroppo, non vi è la cultura del rispetto di tutti gli avversari e della regolarità del campionato: spesso accade che si tirino i remi in barca e si smetta di giocare. Gli esempi di questo tipo nelle partite di fine campionato si trovano un po’ dappertutto. Ed è un messaggio sbagliato quello che passa, addirittura il cattivo diventa quello che si gioca la partita fino alla fine anche se non ha nulla da chiedere al campionato. I primi esempi che mi vengono in mente sono relativi a un Torino-Genoa del 2008/09 o ad un Piacenza-Genoa di Serie B del 2004/05 con i rossoblu ai poli opposti nei due casi.

Non sono rari i casi di risse nei sottopassaggi o di spintoni a fine partita quando il risultato non è quello che si attenderebbe chi pensa più alla propria classifica che alla regolarità di un campionato.

E, se tutto ciò non bastasse, spesso si aggiungono anche i gemellaggi fra le tifoserie. Tifosi che chiedono ai calciatori della loro squadra di lasciare punti alle squadre gemellate sono, purtroppo all’ordine del giorno… Uno per tutti, andato male, fu quello del 5 maggio 2002, quando a Roma uno stadio intero, laziali e nerazzurri, tifava per l’Inter campione, sollevando la rabbia e l’orgoglio di Karel Poborsky su tutti che, giustamente, non comprendeva questo tipo di atteggiamento dei tifosi. E’ pertanto una cultura che va cambiata, dentro e fuori dal campo.

Quello appena portato è solo un esempio, e ricorda di richieste abbastanza pacifiche dei tifosi (e giocatori…). Purtroppo però non va sempre così: non sono stati rari i casi di minacce dei tifosi ai propri giocatori, invitati caldamente a perdere partite in sfregio a qualunque regola sportiva, ma soprattutto etica.

Andrebbe quindi inquadrato bene il concetto di illecito, la piaga peggiore: l’alterazione di una partita per ragioni di scommesse o a seguito di pagamenti o regali va punita, a mio avviso duramente anche in caso di collaborazione, con forti sanzioni a calciatori e società. Laddove invece non vi sono prove di illeciti, ma di un’alterazione degli incontri dovuta a una mancanza di lealtà nei confronti non solo degli avversari e della regolarità di un campionato, ma anche dei tifosi che fanno sacrifici economici per andare allo stadio, allora sarebbe più coerente e giusto applicare un articolo già presente nel Codice di Giustizia Sportiva: l’articolo 1, ultimamente diventato un salvagente per la FIGC per evitare i ricorsi al TAR di giocatori ingiustamente condannati nei gradi precedenti.

Art. 1
Doveri e obblighi generali 

1. Le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici, gli ufficiali di gara e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale, sono tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva.
[…]
6. In caso di violazione degli obblighi previsti dal comma 1 si applicano le sanzioni di cui alle lettere a), b), c), g) dell’art. 18, comma 1, e quelle di cui alle lettere a), b), c), d), f), g), h) dell’art. 19, comma 1.

Ma quali sono le sanzioni di cui si parla nel comma 6? 
Andiamole a vedere nel dettaglio:

Art.18
Sanzioni a carico delle società 
1. Le società che si rendono responsabili della violazione dello Statuto, delle norme federali e di ogni altra disposizione loro applicabile sono punibili con una o più delle seguenti sanzioni, commisurate alla natura e alla gravità dei fatti commessi:
a) ammonizione;
b) ammenda;
c) ammenda con diffida;
[…]
g) penalizzazione di uno o più punti in classifica; la penalizzazione sul punteggio, che si appalesi inefficace nella stagione sportiva in corso, può essere fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente;
Art. 19
Sanzioni a carico di dirigenti, soci e tesserati delle società 

1. Per i fatti commessi in costanza di tesseramento, i dirigenti, i tesserati delle società, i soci e non soci di cui all’art. 1, comma 5 che si rendono responsabili della violazione dello Statuto, delle norme federali o di altra disposizione loro applicabile, anche se non più tesserati, sono punibili, ferma restando l’applicazione degli articoli 16, comma 3 [1], dello Statuto e 36, comma 7 [2] delle NOIF, con una o più delle seguenti sanzioni, commisurate alla natura ed alla gravità dei fatti commessi:
a) ammonizione;
b) ammonizione con diffida;
c) ammenda;
d) ammenda con diffida;
[…]
f) squalifica a tempo determinato, nel rispetto del principio di afflittività della sanzione;
g) divieto di accedere agli impianti sportivi in cui si svolgono manifestazioni o gare calcistiche, anche amichevoli, nell’ambito della FIGC, con eventuale richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA;
h) inibizione temporanea a svolgere ogni attività in seno alla FIGC, con eventuale richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA, a ricoprire cariche federali e a rappresentare le società nell’ambito federale, indipendentemente dall’eventuale rapporto di lavoro.

Insomma, per la violazione del principio di lealtà sportiva sono già previste delle sanzioni e ad ogni partita, ai massimi livelli, sono presenti almeno 5/6 007 federali allo stadio, che vedono tutto e che dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, segnalare tutti i comportamenti anomali, anche da questo punto di vista. Il problema è che spesso non lo fanno.

Ne è un esempio il fatto raccontato da Stellini in una sua intervista al Corriere:

Non crede sia grave non denunciare una combine? 
«Le rispondo con un episodio. Gioco nel Bari e incontriamo il Modena. Noi vinciamo e loro rischiano di retrocedere. Nell’intervallo uno di loro mi chiede: “Cosa vi importa?, dateci una mano”. Mi giro e vedo l’ispettore federale. Gli dico: ”Ha sentito?”. E lui: “Poverini, stanno retrocedendo”».

E se questo è il comportamento di chi dovrebbe far applicare le regole, di che cosa stiamo ancora a parlare? Di giustizia?

Come abbiamo visto le regole ci sono. Basterebbe quindi solo farle applicare. Forse così potrebbe davvero cambiare anche quella cultura, tutta italiana, delle partite di fine campionato giocate per onor di firma e non per onore di campionato.

Maurizio Romeo (@rumme75)

laziointer

Foto tratta dal sito AntiLazio

Note:

[1] Statuto FIGC – Art. 16 Affiliazione e tesseramento – Comma 3. E’ sancito il divieto di far parte dell’ordinamento sportivo per un periodo di 10 (dieci) anni per quanti si siano sottratti volontariamente con dimissioni o mancato rinnovo del tesseramento alle sanzioni irrogate nei loro confronti. A tal fine da parte della Segreteria federale sarà emessa apposita attestazione a far data dalla quale decorre il periodo su indicato.  

[2] NOIF FIGC – Art. 36 I tesserati – Comma 7 – E’ vietato il tesseramento di chiunque si sia sottratto volontariamente, con dimissioni o mancato rinnovo del tesseramento, ad un procedimento instaurato o ad una sanzione irrogata nei suoi confronti

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Dodici nasce da una costola di Barzainter.it, ne eredita la filosofia ("Il calcio è solo un gioco, e con il sorriso si gioca meglio") che cerca di trasmettere con un mix di competenza, obiettività condita comunque dall'ironia che mai può mancare. Dodici, come il dodicesimo uomo. L'uomo in più che cercheremo di essere ogni giorno. Solo per voi.

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