A spasso (nel calcio) con Gigi

Il nostro Massimo (@tweetgino), non a caso da me soprannominato Brio per la sua determinazione e la sua grinta, è riuscito a raggiungere e chiacchierare con un altro dei suoi (e miei) idoli di gioventù: il bomber Gigi Casiraghi. Ne è uscita una bellissima e piacevole chiacchierata, una passeggiata a spasso nel mondo del calcio, guidati sottobraccio da un grande ex Bianconero, campione simpatico e davvero disponibile.
Non aggiungo altro per non rubare altro tempo alla lettura… Buon viaggio, a spasso con Gigi.

Maury Barza

Buongiorno Pierluigi,

Una breve premessa, prima d’addentrarci nell’intervista: gli attaccanti come te mi son sempre piaciuti. Tosti, battaglieri, acrobatici, mai domi, che le danno ancor prima di prenderle. Gente come Bettega e Serena, come Vialli e Ibra, per restare nel mondo Juve. Gente che non mollava nemmeno un centimetro. T’ho amato tanto, sportivamente parlando. Nella stanzetta all’Università, campeggiava un tuo poster di 2 metri, a grandezza naturale, preso in edicola. Erano gli anni per noi di una Juve soffocata dal Milan di Sacchi e dal Napoli di Maradona, poche gioie, molti dolori, anni di infinite prese in giro dallo zoccolo duro del tifo universitario milanista. Ma quella Juve meno vincente, la porto nel cuore e di quella Juve avevamo eletto come simbolo, come beniamini 2 gladiatori: Tacconi e Casiraghi.

Partiamo dagli albori della vita e della carriera: il piccolo Pierluigi quando scoprì l’amore per il gioco del calcio ?

E’stato un amore sbocciato fin da piccolissimo. Mi alternavo tra giardino e garage, per la disperazione di mio nonno Ernesto perché rompevo sempre piante, vetri e porte. Sai, fin da piccolo avevo un tiro bello potente. Poi ho continuato con i miei amici, all’oratorio. E visto che ci riuscivo discretamente bene, ho continuato a giocare e a tirar bordate.

Da piccolo (ognuno ha i suoi difetti) eri milanista. Si dice che come idolo avessi la meteora Mark Hateley, che tutti ricordiamo per un fantastico goal nel derby.

E’ vero, tifavo Milan. Ero un tifoso sfortunato perché in quel periodo il Milan era davvero poca cosa. Erano gli anni delle due retrocessioni in B. Prediligendo il ruolo di attaccante, non avevo grandi scelte e mi colpì quell’inglese dal gioco coraggioso e ruvido, abile nel colpo di testa. Fece un goal memorabile in un derby saltando ben più alto di Ferri.

Hai fatto tutta la trafila dal vivaio alla prima squadra col Monza. Che ricordi hai di quel periodo ? Era difficile far collimare studi, calcio e amici ?

Sono entrato nel vivaio del Monza da bambino e di quegl’anni serbo ricordi bellissimi. A quell’età spensierata è tutto emozionante ed è tutto vissuto come qualcosa di speciale. Poi fortunatamente a scuola me la sono sempre cavata e seppur comportava qualche rinuncia ho anche portato a termine gli studi e mi son diplomato Perito Meccanico. Mi resta magari un piccolo rammarico: quello di non aver fatto l’Università.

gigimonzaEsordio nel Monza, molto giovane. In quella squadra e in quell’ambiente chi erano i tuoi punti di riferimento ?

Il vivaio del Monza è sempre stato molto florido, tutto l’ambiente era l’ideale per far crescere noi giovani promesse brianzole. Da li sono usciti all’epoca fior di giocatori come Massaro, Monelli, Antonioli, Robbiati. Eravamo ben seguiti e formati da un gruppo affiatato di allenatori e dirigenti che ti metteva nelle condizioni di crescere in un ambiente dal taglio familiare, ma al tempo stesso di grande professionalità. Ringrazio tutte quelle persone, senza indicarne alcuna perché tutte importanti: ciò che ha fatto la differenza era quindi la filosofia stessa, l’ambiente, che alimentava quella splendida realtà. Non finirò mai di ringraziarli.

Nell’estate del 1989 passi alla Juventus per 6,4 miliardi di lire, cifra notevole. Strappato al Milan cui andrà invece un tuo collega, Marco Simone. Che si prova a trovarsi catapultati da Monza nel mondo Juve ?

All’inizio pareva dovessimo andare entrambi al Milan, poi s’inserì la Juve del Presidente Boniperti e le strade mie e di Marco si divisero. Passare dal Monza alla Juve è stato fantastico. Mi son trovato nella squadra più importante d’Italia, ma non è stato difficile ambientarsi. La Juve non lascia nulla al caso, ti seguono in ogni sfumatura. A te non resta che far quello per cui ti pagano, il calciatore. A tutto il resto ci pensano loro. E questo aiuta molto.

Casiraghi Liege 1991In un attimo, un ventenne di grandi prospettive e di bell’aspetto si trova col mondo in mano. Danaro, fama e si mormora parecchie fan. Chissà com’era dura per un ragazzino comportarsi da professionista al 101%

In realtà no. La mia grande fortuna è di essere cresciuto in una famiglia normale. I miei genitori mi hanno trasmesso grandi valori. Mi hanno insegnato che l’impegno, il lavoro, il sacrifico è necessario e ti ripaga. Conoscevo e davo anche il giusto valore ai soldi. Mio padre ha sempre fatto l’operaio e quindi avevo chiaramente la percezione delle cose. Anche nel rapporto col danaro. Poi per me il calcio era tutto e la chance incredibile che mi era stata donata l’ho voluta sfruttare al massimo delle mie possibilità concentrandomi su quello. Certe rinunce, in definitiva, non mi sono costate. Per quanto riguarda le ragazze, ho incontrato presto e mi son subito fidanzato quella che poi è diventata mia moglie e quindi diciamo che il problema, per come son fatto io, non si poneva.

Quella era la Juve alla fine della prima era Boniperti. In quegli anni lo “Stile Juve” era qualcosa di palpabile. In cosa consisteva in realtà, come lo apprendevate questa sorta di “codice comportamentale” ?

La Juve era Boniperti, lui dello stile Juve era il garante assoluto. Teneva con la squadra contatti  quotidiani. Anche per le più piccole cose ti prendeva in disparte, ti parlava, ti consigliava, ti indirizzava. Ti faceva capire cosa volesse dire essere un giocatore della Juve, cosa significasse la maglia bianconera. Ti era chiarissima la responsabilità che avevi verso la tua squadra, la tua dirigenza, i tuoi tifosi. Non erano regole codificate o scritte, lo respiravi nell’aria, lo apprendevi guardando i compagni più anziani, lo capivi solo guardando il padre di quella società, l’Avvocato Agnelli.

Già. L’impareggiabile Gianni Agnelli. Che persona era, tu che l’hai conosciuto ?

Era una persona affascinante. Incuteva naturalmente una sorta di timore reverenziale, di rispetto. Poche volte nella mia vita ho incontrato personaggi di tale levatura, sensazione ripetuta solo nel mio incontro in Vaticano con Papa Giovanni Paolo II. Era un vero appassionato e un fine intenditore di calcio. Ti parlava con competenza sbalorditiva di gesti tecnici, di aspetti tattici, di calciatori che aveva avuto o che avrebbe voluto. Ed era dotato di una dialettica e di un’ironia unica. Ci si incantava ad ascoltarlo.

Il tuo primo allenatore bianconero, fu il mito Zoff, che poi ritroverai alla Lazio. All’esterno è conosciuto come persona taciturna e introversa. Sorprendimi: non è che invece dentro le mura dello spogliatoio era capace di discorsi accalorati e motivanti come Al Pacino in “Ogni maledetta domenica” ?

(sorride ndr) Beh, proprio alla Al Pacino no ! Quello è un discorso che ha colpito molto anche me. Bel film. Tornando a Zoff, era un tecnico ben preparato che parlava molto ai propri giocatori, magari singolarmente. Dino era l’uomo di sport per eccellenza, simbolo di lealtà, rappresentava a pieno la  Juve. Era un allenatore che instaurava un rapporto molto amichevole con i giocatori, di stima reciproca. Non teneva quel rigido distacco trovato in altri allenatori. E questo ti portava naturalmente a seguirlo e a dare tutto quel che avevi per lui e per il suo progetto.

Nel 1989-90 hai vissuto da vicino la favola di Totò Schillaci, dal nulla al tetto del mondo. Che attaccante era Totò ? Perché non ha saputo confermarsi dopo il mondiale 1990 ?

Schillaci era puro istinto. Un giocatore con qualità realizzative fuori dal comune. Era rapidissimo nel breve e calciava da ogni posizione con una coordinazione e una potenza davvero rara. I palloni prendevano spesso delle strane traiettorie. Letale. Purtroppo per lui, dopo il ’90, arrivarono allenatori più organizzati, che pretendevano movimenti particolari. Quello non era il suo campo d’applicazione. Lui faticava e perdeva pericolosità se doveva tornare a coprire, il suo regno era l’area di rigore, vicino alla porta. Lui dava il meglio di sé libero, senza vincoli tattici, guidato dal suo fenomenale istinto. Non si è ripetuto sui livelli del mondiale quando si consacrò come star assoluta, ma ha avuto comunque una buona carriera.

In quell’ultima Juve Bonipertiana c’era pure un alieno, o almeno tale pareva a noi tifosi: Aleksander Zavarov. Arrivato come fenomeno, non lasciò traccia. Che ricordo ne conservi, del giocatore e dell’uomo ?

Sasha veniva da una Russia molto diversa da quella attuale. Il muro di Berlino era caduto da poco e le differenze tra il loro mondo e il nostro erano ancora accentuate. Faticò non poco ad ambientarsi e a prendere le nostre abitudini. Sia per quanto riguardava il calcio che per quanto riguardava la società occidentale e il nuovo stile di vita. Non era facile per un carattere chiuso come il suo venirne a capo. Aveva comunque talento, che non seppe però esprimere. Assieme a lui arrivò anche Alejnikov, un bielorusso metodico e intelligente, grande appassionato di scacchi. Al contrario Sergej si inserì bene, anche a livello di spogliatoio. Era il classico centrocampista d’ordine e di sostanza.

La tua seconda Juve, un disastro. Montezemolo e Maifredi furono poco capaci o molto sfortunati ?

Quella Juve aveva fatto grandi investimenti, aveva un progetto nuovo, interessante, che rompeva con la tradizione bianconera. Maifredi doveva portare il calcio a zona che stava facendo la fortuna del Milan che dominava la scena Europea. Per metà stagione non andò nemmeno malissimo, eravamo secondi. Poi una serie di infortuni (tra cui il mio alle spalle) e di partite sfortunate fecero girare l’inerzia della stagione in senso opposto e non riuscimmo ad invertire la rotta, terminando con una desolante uscita dall’Europa. Cosa che alla Juve non può che essere considerata un fallimento. Fu una scommessa forse azzardata, un cambio troppo repentino. Come tutti gli azzardi, comporta un’alta percentuale di rischio e quella volta per poca capacità o sfortuna andò a finire male.

 

Arrivarono in quell’anno fior di campioni. Ti vorrei chiedere qualche aneddoto, qualcosa di inedito, su 2 juventini che porto nel cuore : Julio Cesar da Silva detto l’Imperatore e Jurgen Kohler.

Julio l’ho rivisto casualmente a Milano lo scorso anno, è ancora in formissima. Era un difensore con un fisico imponente e con un gran calcio. Forse per il nostro campionato era un tantino lento, ma compensava con la visione di gioco e con l’intelligenza tattica. Per me è stato un difensore notevole, sottovalutato dagli addetti ai lavori. Un giocatore che definirei moderno, potrebbe benissimo giocare con gli schemi attuali. Al contrario Jurgen era un mastino incredibile, giocatore vecchio stampo. Si francobollava all’attaccante e non mollava nulla. Non mollava nulla nemmeno in allenamento. Te lo posso assicurare personalmente. In comune Julio e Jurgen avevano che si facevano voler bene, entrambi brillanti e di compagnia.


E’ vera la leggenda che Kohler giocava sempre e comunque con i sei tacchetti in alluminio , leggermente più lunghi del consueto ?

Questo francamente non me lo ricordo, ma non mi sorprenderebbe per niente. Jurgen quando giocava, mordeva davvero. Ricordo certi suoi scontri epici con Marco Van Basten…che scintille !

gigi juve

Con Maifredi ti togli comunque qualche soddisfazione. Ricordo un tuo goal nella miglior partita dell’anno (Juve-Inter 4-2) e uno al Barça in Coppa. Cos’hai imparato da quella stagione ?

Prima di tutto per mia sfortuna in quell’anno ho imparato a soffrire, a non ascoltare il dolore. Mi dovevo operare alle spalle a causa di lussazioni, prima l’una poi l’altra. Scelsi di farle tutte in una volta, avevo troppa voglia di tornare a combattere per la Juve il prima possibile. Fu il primo intervento di quel tipo in Europa. Strinsi i denti e con tanto lavoro e determinazione rientrai in tempi record.

In quell’anno trovi al tuo fianco un grandissimo numero 10 ovvero il Divin Codino. Negli anni questa fortuna si ripeterà altre volte, con Mancini e Zola. Potendo prendere da ognuno di loro una caratteristica, cosa sceglieresti ?

A questi tre numeri 10 aggiungo per caratteristiche Signori, che a me piace classificarlo come un 10 anomalo. Rispetto agli altri che hai nominato Baggio era dotato di classe sopraffina ma aveva anche l’istinto del killer, era il più goleador. Come ben l’aveva definito Platinì era una seconda punta, un nove e mezzo. Mancini dei tre era quello col maggior carisma e personalità, in campo e fuori. Lo si vedeva già allora che poteva percorrere una buona carriera come allenatore. Zola era a mio avviso il più imprevedibile, il più fantasioso. Magari aver appreso da Maradona gli ha dato una mano.

Parentesi Trapattoni bis. Con Luca Vialli. Per me Luca rappresenta l’incarnazione del detto “leader si nasce”. Carisma all’ennesima potenza. Cos’era Luca nello spogliatoio e negli equilibri della squadra ?

Con Luca ho sempre avuto un bellissimo rapporto, tant’è che fu lui a volermi al Chelsea. Aveva doti da capopolo, da trascinatore. Dedizione massima al lavoro e all’applicazione. L’unico piccolo difetto era che voleva sempre vincere e quando le cose non andavano bene s’incupiva. Ma se la squadra girava e vinceva lui caricava tutti sulle spalle e ti trascinava con uno spirito guerriero. Era amato da tutti, anche perché nello spogliatoio e fuori dal campo era sempre scherzoso e brillante. Luca è stato senz’altro uno dei più forti con cui io abbia mai giocato.

Nella tua ultima Juve c’era pure Antonio Conte. S’intravedevano già le sue doti di allenatore e condottiero ?

Antonio arrivò da semisconosciuto dal Lecce. Come Vialli era uno che credeva molto nel lavoro e si applicava ferocemente. Si vedeva che aveva voglia di arrivare, di migliorarsi. Ricordo che ad allenamento finito si fermava con Trapattoni per delle sedute supplementari di tecnica e tiri. Non aveva doti tecniche eccelse, ma fu il calciatore a cui vidi fare, grazie al lavoro, il maggior salto di qualità in un solo anno. Aveva la testa da calciatore, da professionista. In questo lo riconosco quando lo vedo in panchina. Son sicuro che questi successi da allenatore son solo l’inizio.

168 derby casiraghiCon mio grande dispiacere nel 1993 vieni venduto alla Lazio. Ci ritrovi il tuo mentore, Zoff. Ma l’anno successivo il tuo allenatore è un altro uomo di grane loquacità (?): er Boemo. Da Allenatore, secondo te, perché non vince mai una competizione lunga, ma regala solo grandi partite ?

Per prima cosa devo dire che Zeman, ad eccezione dell’anno in cui la Lazio arrivò seconda, non ha mai guidato squadre attrezzate per la vittoria finale. Personalmente da attaccante col suo gioco mi sono divertito tanto. L’attaccare la profondità e lo spazio con a fianco Boksic e Signori era una manna per me. Creavamo un’infinità di azioni da goal. Con lui ho vissuto le mie stagioni più belle, anche perché ero più maturo rispetto agli anni bianconeri. Il Mister cerca di sfruttare al massimo questo suo punto di forza, magari trascurando un’adeguata copertura. Ecco, se gli devo trovare un difetto, dico che negli anni non ha imparato da certe sconfitte e non ha mai curato le sue debolezze. Concentra i suoi sforzi nel massimizzare i suoi pregi, meno nel minimizzare le lacune. Questo suo essere integralista crea chiaramente degli scompensi e credo che qui si trovi la risposta alla tua domanda.

Il derby della Mole e quello romano ti hanno visto spesso andare in goal. Quali sono le differenze tra queste due stracittadine ? Quale delle due era più sentita ?

Intanto comincio col dirti che io amavo queste partite. In partite sentite e vibranti, negli scontri da tutto o niente, quando saltava fuori l’adrenalina, io mi esaltavo e davo il meglio di me stesso. I due derby hanno connotazioni diverse. Quello di Torino è forse più sentito dai tifosi granata, per la Juve c’era quasi sempre tutto da perdere e nulla da guadagnare, nel senso che spesso il divario tra noi e il Toro era netto e si partiva con i favori del pronostico. Devo dire che però nei derby con Bruno, Annoni e Policano io mi sono divertito molto. Quello di Roma invece è sempre stato più incerto, più equilibrato. E con una cornice fantastica.

gigi italiaIn questi anni vesti l’azzurro (44 presenza e 13 goal) partecipando a 2 grandi competizioni: Usa ’94 e Euro’96. Raccontaci qualcosa della spedizione americana (clima e orari terribili !) e qualcosa di un futuro immortale bianconero incrociato a Euro’96 : Pavel Nedved. Come te Juventino e Laziale.

Vestire l’azzurro è qualcosa di speciale per me. Sapere che sei uno dei 22 fortunati che rappresentano un popolo, una nazione, alla competizione più importante che ci sia a livello calcistico, mi ha regalato grandi emozioni e fatto sentire orgoglioso. Ad USA’94 abbiamo incontrato difficoltà notevoli per clima e orari. Afa e caldo pazzeschi. Siamo arrivati fino alla finale, fino ai rigori. A esser sincero, al momento, non ti rendevi nemmeno conto dell’occasione persa, eravamo talmente spremuti sotto ogni punto di vista da Mister Sacchi e da due mesi di ritiro che in quel momento pensavi a riposarti e a cercare di ricaricarti. Me ne sono reso conto dopo, me ne rendo conto adesso, di quel che non è stato e che poteva essere. A un nulla dall’immortalità, sportivamente parlando. A un passo dalla gioia vissuta da spettatore in Germania che tutti hanno ancora negli occhi. Tutti ricordano Spagna ’82 o Germania 2006, invece i secondi posti, non li ricorda nessuno. Ma questo è lo sport. Di Pavel Nedved ti posso dire d’averlo avuto come compagno alla Lazio. Ottimo compagno, splendido ragazzo. Come calciatore, mostruoso. Come detto in precedenza su Conte lui arrivava prima e correva, faceva l’allenamento sempre a mille e alla fine restava sul campo e continuava a correre, a tirare a provare. Il prototipo del perfetto professionista. Con una determinazione incredibile. Rispetto a Conte però aveva qualità tecniche di prim’ordine. Questo supplemento di lavoro lo faceva appena arrivato alla Lazio nel ‘96, ma ha continuato a farlo anche da stella affermata. In questo non ha mai mollato. Non per niente è arrivato al Pallone d’Oro. Quindi i riconoscimenti che ha avuto, le vittorie e l’amore dei tifosi, Pavel se gli è guadagnati e son contento per lui.

L’esordio azzurro a Terni contro il Belgio (0-0). In difesa Ferrara, Vierchowod e Baresi. Rocce mica da poco. Amavi il contatto fisico e la lotta, con chi tra questi o altri hai fatto le battaglie da raccontare ai nipoti ? Qual’era il difensore che più ti metteva in difficoltà ?

Quelli che hai detto erano tutti grandi difensori. Ma per mille motivi dico Franco Baresi. Come sai da bimbo ero milanista e Baresi era un’icona. Più che in difficoltà verso di lui avevo una sorta di soggezione. Trovarmelo compagno in azzurro o avversario nel Milan era una sensazione particolare. Per capirci, io non mi tiravo mai indietro nella lotta, ma se capitava di fare un’entrata su Franco, mi veniva spontaneo chiedere subito scusa. Con nessun altro è mai capitato. Incuteva rispetto, stima, timore. Oltre a questo era ovviamente un difensore come pochi altri. Il calcio l’interpretavo, passami il termine, come una lotta, una battaglia. Per 90 minuti, nei limiti del rispetto, era concesso dar fondo a qualunque risorsa. Poi, finita la partita, smettevo la mia corazza e tornavo a sorridere. Un po’ come si fa nel rugby. E di battaglie ne ho fatte tante, con tanti difensori. Mi piace però ricordare un episodio, che poi ha segnato la mia carriera. Una partita di Coppa Italia che il mio Monza fece contro la Juve. Io ero un ragazzino, mi marcava Brio. Un mastino. Ce le siamo date per tutta la partita, senza esclusione di colpi. Brio, mesi dopo, mi raccontò che al termine della partita era rimasto talmente colpito dalla mia spavalderia, dal mio modo di interpretare la gara che parlò con Boniperti “Presidente, quel Casiraghi è una forza della natura, un gladiatore, lo prenda”. E per fortuna Boniperti l’ascoltò. Un altro che mi piace ricordare è Paolo Montero. Con lui erano colpi sempre sopra le righe da parte di entrambi, ma la particolarità era che questa “guerra” la facevamo sorridendo. In campo, dopo ogni colpo, commentavamo e ridevamo assieme, quasi compiaciuti. Per il nostro spirito guerriero, era quasi una sorta di piacere incontrarci/scontrarci. Avevamo il massimo rispetto l’uno dell’altro. Ma che botte ! Comunque se c’è un giocatore che me le riusciva a suonare, con cui ho fatto fuoco e fiamme, quello era Riccardo Ferri. Uno stopper eccezionale.

gigi chelseaNel ’98 lasci l’Italia per Londra, destinazione il Chelsea di Vialli, Zola e Di Matteo. Esperienza purtroppo breve, ma magari sufficiente a capire in cosa il movimento calcistico italiano deve crescere per arrivare ai livelli della Premier, attualmente torneo di riferimento.

Al Chelsea dovevo rimanere quattro anni, invece finì tutto in pochi mesi. In pochi mesi però ho potuto vedere differenze nette di cultura sportiva, di mentalità e di approccio da parte di tutti, media inclusi, al football. Hanno avuto anche loro grossi problemi, forse più grandi dei nostri con il fenomeno holligans, ma a differenza che in Italia dove si parla ma si fanno pochi fatti, in Inghilterra il governo politico e sportivo hanno avuto la forza e il coraggio di cambiare, di prendere provvedimenti drastici, decisioni dure, cosa che da noi non avviene. Ma i risultati si sono visti e ora la Premier è davvero un bel torneo. Stadi come teatri, famiglie ad assistere alle gare, la partita come una festa. In Italia, per ora, solo la Juve col suo stadio sta cercando di percorrere questa strada.

Chelsea- West Ham, lo scontro con Hislop. Ti sei mai chiesto se per quel tuo ginocchio si sarebbe potuto fare di meglio a livello medico ? Non me lo sono mai spiegato. Ai giorni d’oggi, sarebbe cambiato qualcosa ?

casiraghichelseaNo. Purtroppo no. In quello scontro il mio ginocchio s’è davvero rotto completamente: crociati anteriore e posteriore, collaterale, menischi. Ma la sfortuna ha voluto che avessi una lesione non recuperabile del nervo SPE (Sciatico popliteo esterno), quello che per capire serve a collegare i movimenti della parte inferiore della gamba e del piede. Ti posso assicurare che non c’ho mollato, ho fatto di tutto, ma davvero non c’era nulla da fare. Al momento è stato un trauma molto forte, dovevo rinunciare di colpo a quella che era la passione, la mia professione, la mia vita fino a quel momento. Ma devo dire che anche quella è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere e maturare a livello umano. Sono comunque fortunato, adesso riesco a correre e qualche volta il lunedì gioco con gli amici a calcetto.

Il goal al quale sei più affezionato ?

Non c’è un solo goal. Sono affezionato in egual modo a tutti i 13 goal fatti con la Nazionale. Come dicevo per me vestire quella maglia era il massimo onore e far goal per l’Italia il top. A pensarci, 13 goal in 44 partite non son mica male…..

gigi allenatoreLa tua carriera di allenatore. Ho ancora negli occhi la sfortunata semifinale persa immeritatamente con la Germania, un po’ il crocevia della tua nuova esperienza. Cosa non funzionò quel giorno, sembravate nettamente superiori ?

Eravamo davvero una squadra forte, con individualità di spicco. Pure loro non scherzavano e parte di quella formazione adesso è in nazionale maggiore come Neuer, Ozil, Boateng, Khedira, Hummels. La mia under, la chiamo così perché forse è la squadra a cui sono riuscito a trasmettere maggiormente la mia idea di calcio, annoverava giocatori importanti come Marchisio, Balotelli, Giovinco. Giocammo davvero bene, loro fecero un tiro da lontano e trovarono un goal, a cui nonostante un dominio territoriale evidente non riuscimmo a rispondere. La chiave per me fu la mancanza di Marchisio, che in quel centrocampo mi dava un contributo fondamentale, sotto molti punti di vista. Anche se non c’è controprova che con lui avremmo vinto.

Negli undici, a centrocampo c’era il compianto PierMario Morosini. Che calciatore era ?

Era un calciatore regolare e metodico. Se lo schieravi sapevi cosa ti poteva dare, in questo era una garanzia. Aveva anche buone doti d’interdizione. Uno di quegli elementi che agli allenatori piacciono perché su di loro puoi sempre contare. Però di PierMario quel che colpiva era il suo sorriso, la sua dolcezza. Sapevamo della situazione familiare complicata e delle sfortune che la vita gli aveva riservato e quel suo sorriso, quella bontà che trasmetteva con lo sguardo, erano disarmanti. Non potevi non volergli bene.

Nello spogliatoio c’era pure Super Mario Balotelli. Difficile da gestire un talento e un carattere del genere ?

Con noi Mario non ha mai mancato in nulla, si è sempre comportato bene. A dire il vero ci si trovava in ritiro, si faceva la partita e si scioglievano i ranghi, quindi magari non aveva nemmeno il tempo di far qualche marachella ! Ma ti confido che Mario tiene davvero tanto alla maglia azzurra, nemmeno con la Nazionale maggiore ha avuto episodi particolari. Lui l’Italia l’ha scelta, poteva giocare per il Ghana. Ma ha fortemente voluto giocare in azzurro. Mario è un talento vero, ha un potenziale incredibile. Spero che riesca a dimostrarlo con continuità. Il tempo passa, non vorrei che un domani si dovesse voltare indietro a guardare la sua carriera e nutrire dei rimpianti. Nessuno gli ridarà le occasioni perse.

Una volta in Federazione era quasi automatico il salto dall’ U21 alla nazionale maggiore (Vicini, Maldini). Ora al contrario chi fa bene nell’Under sparisce dal giro (Gentile e tu). Cos’è cambiato in Federazione ? Servono davvero padri e patrigni per districarsi tra le rovine ben visibili della FIGC ?

Ti do una risposta diplomatica: son cambiati i tempi, è cambiato il calcio. Una volta c’era una divisione netta tra allenatori federali e di club. Le due carriere non si mischiavano. Da Sacchi in poi, ma è una tendenza non solo italiana, si è pescato anche tra gli allenatori di club, successe con Lippi, Donadoni, Prandelli. Sul perché gli allenatori federali come me e Gentile non abbiamo avuto opportunità importanti con i club, ho una mia idea e non nascondo un po’ d’amarezza : per una certa fetta di addetti ai lavori c’è la tendenza a non considerare le esperienze di selezionatore formative come quelle nei club. Come fosse un esperienza da ascrivere nel proprio curriculum, ma di minor pregio. Mentre posso assicurare che studiare e conoscere il calcio a livello continentale, gestire un gruppo di quel genere, non è per nulla semplice ed è altamente formativo. Sui padri e patrigni, infine, soprassiedo.

Qualche mese fa s’era parlato per te della panchina dei Montreal Impact. Avresti ritrovato Nesta, tuo compagno della Lazio. Cosa c’era di vero ?

E’ vero. C’è stato qualcosa. Un agente internazionale mi prospettò quest’ipotesi. Ma non si è poi concretizzata. Andare comunque ad allenare così distante non sarebbe stato semplice, a livello familiare.

In questi casi si dice “aspetto il progetto adatto a me”. Da dove vorresti ripartire ? In fondo, gente con meno esperienza di te siede su prestigiose panchine ? (ogni riferimento a Stramaccioni non è puramente casuale)

Stramaccioni ha avuto un’opportunità importante ed è giusto che se la giochi al massimo. Quanto a me, sono purtroppo poco diplomatico, sono schietto, diretto, sincero. In alcuni casi questo non paga, ma non riesco a esser diverso da quel che sono. Vedo però in serie B una bella generazione di nuovi allenatori e la serie cadetta è molto competitiva. Magari qualcuno farà un pensierino anche al sottoscritto. Se poi come successo a Stramaccioni mi capitasse un’opportunità del genere, ben venga.

Il classico gioco della torre. Scelta e motivazione. Vietato barare:

Juve o Lazio ?

Brutta domanda, amo entrambe le squadre. Come scegliere tra due figli. Per cui concedimi di scegliere né l’una né l’altra. Scelgo la Nazionale

Sacchi o Zoff ?

Come allenatore mi tengo Sacchi, come uomo senz’altro Zoff

Baggio o Mancini ?

Tengo Roberto Baggio. Classe cristallina.

La fase difensiva di Maifredi o quella di Zeman ?

(ride di gusto e a lungo ndr) Pensa…..mi tengo quella di Maifredi !

Sebastiano Rossi o Landucci (che litigate !!! Ancora rido)

Alla fine quel che è stato il tuo avversario, il tuo nemico, sportivamente parlando, lo porti con te. Con Seba ho avuto davvero molti screzi e davvero pochi amichevoli. Ma mi tengo lui, sennò poi, con chi potrei divertirmi a litigare ? Quindi tengo Rossi

In porta nella tua squadra Tacconi o Marchegiani ?

Sono legato per tanti motivi a Marchegiani. Quindi nonostante Tacconi fosse un grande portiere, scelgo Marchegiani.

Ultima scomoda domanda, la più difficile: mi scrivi il best undici dei compagni di squadra che hai avuto ?

Mi schiero con un 4-2-3-1 e son sicuro di fare uno squadrone. Son stato fortunato in carriera e ho avuto davvero tanti compagni fortissimi:

In porta Marchegiani, se gli vien la febbre schiero Peruzzi. Difesa in linea con centrali Nesta e Baresi che non son niente male. A sinistra Maldini con De Agostini pronto a subentrare a destra Tassotti. Schiero poi un centrocampo un po’ offensivo : centrocampisti centrali Nedved e Gascoigne, con in panchina Albertini. Tre giocatori sulla trequarti con Signori, Baggio e Zola e tengo Alex Del Piero per il secondo tempo. Voglio vedere chi li riesce ad arginare. In attacco il Re Leone Vialli. Senza pensarci un attimo.

Allenatore, ci metto io Casiraghi !

casiraghi juve

Grazie di cuore, Gigi. Calciatore moderno, uomo intelligente, dal cuore e dai valori antichi. Un guerriero, uno da Juve, per sempre.

 Massimo – @tweetgino

Post By tweetgino (4 Posts)

Polesano DOC, secondo Blatter ho 2 anni in meno di quanto scritto sulla carta d’identità. Amo l’ironia e la battuta come mezzo per dire le più crudeli verità. Anima libera, lingua e tastiera veloce, Moggiano, orfano della Triade. Inventore del Raiola's Project. Il mio sogno è di intervistare Luciano Moggi e Alex Del Piero

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